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      Io mi presi la più giovane, chiamata Gaetanella.
      Angiola Maria, cervello balzano, ingelositasene, mise alla tortura la badessa ogni qual volta la trovò sola; ma non so per quale straordinaria mancanza, la fu un giorno sgridata dalla mia zia nel corridoio. Io stava a qualche distanza da loro, sicché non ne fui veduta.
      La conversa avanzatasi sulla badessa, le diè una gagliarda botta; la vecchia barcollò, e sarebbe caduta, se una porta vicina non le avesse servito di sostegno. A tale vista io misi un grido, e fu appunto nel momento che Angiola Maria si accingeva a più grave aggressione.
      Volai presso alla zia, le presi il braccio, ed abbandonandomi ad un giusto sdegno, ordinai alla conversa di ritirare immediatamente il suo letto dalla stanza della badessa, e di non mettervi più piede, minacciando di rovesciarla dalla loggia nel giardino se disubbidiva.
      Parecchie monache, attirate dalle mie grida, saputo il successo, mi diedero ragione; ma le converse attruppate al fondo del corridoio andavano susurrando, che io non aveva il diritto di farlo. Dato da bere alla zia, che tremava per l’agitazione sofferta, mi portai dalla priora, affine di pregarla che intimasse ad Angiola Maria l’ubbidienza ai miei ordini. La priora vi acconsentì, talché la conversa espulsa dal servizio della badessa dovette prestarsi a quello della comunità.
      Cotesto fatto accadeva durante il periodo del mio educandato. Sino a tanto che non presi il velo, quella donna, incontrandomi, abbassava gli occhi, masticava fra i denti qualche parola di dispetto, e, se lo poteva, cangiava di strada.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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