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      La badessa, senza brigarsene di vantaggio, mi rispondeva: «Dio ti aiuterà!».
      Una mattina, mentre nel coro salmeggiavamo il Mattutino, una conversa venne a chiamar la zia delle due educande amiche di Paolina. Ella andò, e pochi minuti appresso tornò pallida e smarrita, ed accostatasi alla badessa, chiese licenza di lasciar il Mattutino per accorrere in aiuto delle sue nipoti ch’erano state percosse da Angiola Maria. Paolina la seguitò, affine di aiutare le sue pericolanti amiche.
     
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      Di lì a poco, la badessa, chiamatami a sé col gesto, m’impose d’intervenire nella contesa, per placare col mio ascendente i furori della conversa; ubbidii, non però prima d’averle fatto osservare, che ogni giorno io la supplicava di porre a quell’inconveniente un efficace rimedio.
      Angiola Maria erasi chiusa a chiave nella sua cella, né voleva aprirmi.
      Bramosa di appurare il male che la folle aveva fatto alle educande, andai all’incontro di queste; Paolina, che stava di guardia all’uscio della stanza dove s’erano rifugiate le giovinette, nel vedermi giungere, disse loro stizzosamente:
      «Ecco colei che ha detto ad Angiola Maria di battervi!».
      A quest’apostrofe le due educande si slanciano fuor della stanza, non altrimenti che mastini sguinzagliati. Esse non sanno più quel che si dicono: io son fatta l’oggetto del loro risentimento.
      L’iniqua incolpazione mi fermò di botto. Indisposta da più giorni, urtata nei nervi da morali sofferenze, non resistetti all’inaspettata calunnia, e caddi a terra, dibattendomi in convulsioni.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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