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      Io aveva osservato ch’ella accordava molta domestichezza ad un giovane facchino del locale. Nelle lunghe giornate d’estate, mentre tutte meriggiavano, la sorpresi più volte affacciata ad una finestrina, che è vicino alla chiesa e guarda la via San Biagio dei Librai. Queste osservazioni mi avevano persuasa che la non era contenta del suo stato, e che molto volentieri avrebbe preferito quello del matrimonio. La disgrazia della sua paesana e compagna le avea fatto una impressione spiacevolissima, e sempre che ne sentiva ragionare, stralunava gli occhi in modo da metter paura.
     
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      Questo suo stato morale durò per alcuni mesi; se non che la follìa, che già prendeva radice, manifestossi in lei sotto una forma diversa, quella dell’ipocondria. Ritiravasi spesso in luoghi appartati per dar libero sfogo alle lagrime che l’opprimevano; fuggiva la conversazione e mormorava sola; non atteggiava mai la bocca al riso, obliava di leggieri gli ordini ch’io le dava, confondeva le medicine, e se entrava in discorso, lo faceva solo per indirizzare mille domande sulle strade di Napoli, sulla libertà personale degli abitanti, sulla beatitudine di coloro che ne possono godere, ed altre cose simili.
      A sgravio di coscienza, come infermiera, avvertii la badessa che lo stato di Concetta meritava attenzione, e chiesi un’altra conversa per la farmacia; poiché quella imbrogliava i medicamenti, perdeva il tempo a cambiarli dall’uno all’altro scaffale, ed attaccava il cartellino d’un farmaco al barattolo di un altro; conchiusi dicendo di non voler restare responsabile d’ogni disastro che potesse accadere.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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