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      Intorno all’ora in cui suona il silenzio, udii nel piano inferiore delle grida, uno schiamazzo, un andare e venire di monache, un urto di battitoi e d’imposte. Siccome frequenti nel monastero avvenivano le morti repentine, immaginai che fosse successa qualche disgrazia di questa natura; e siccome dal dì che m’era decisa (o piuttosto che credettero avessi deliberato) di morir monaca, avevanmi assegnato una stanza separata al secondo piano; mi alzai in fretta, onde verificare se la vecchia mia zia stesse bene. Il lettore
     
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      non avrà dimenticata la monaca cieca e piegata in arco dagli anni, di cui altrove ho parlato. L’incontrai per la via, appoggiata al braccio della sua conversa e sommamente conturbata.
      «Che orrore! che orrore!» andava dicendo con cenni di ribrezzo.
      «Zia Costanza» diss’io, «che mai significa questo tumulto?»
      «Come, figlia mia, non sai nulla del sacrilegio commesso? Che orrore!»
      «Commesso dove?»
      «Uh, mamma mia!» soggiunse, tirandosi colla mano la guancia grinzosa. «Hanno spogliato la Vergine del Buon Consiglio
      «Possibile!» fec’io.
      «Vero, com’è sicuro che la saetta ci coglierà».
      Entrata in coro, trovai di fatto spogliato l’altarino della surriferita Vergine. L’immagine, dipinta da mano maestra, trovavasi incassata in un telaio a larga cornice; il cristallo, discosto mezzo palmo dalla tela, era permanentemente chiuso a chiave, e nel vuoto, che lo separava dalla cornice, vi stavano piccoli mazzolini d’argento, di non spregevole lavoro.
      Era stata forzata la serratura, e vi mancavano i mazzolini e le corone d’argento, che da tempi remoti avevano fregiato il Bambino e la Vergine.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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