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      Una di loro mi disse:
      «Non avete anche voi due mani, come me? Chi sa che non siate stata la ladra voi stessa? »
      «Fareste meglio» risposi, «a tenere tale linguaggio colle vostre pari».
      «Siamo tutte della medesima pasta» riprese essa sogghignando. Mi tacqui per prudenza, ma ci volle un’ora a riunire nel refettorio tutta la comunità; parte furono indotte colle preghiere, parte colle minaccie.
      In questo frattempo il vicario, trattenutosi da solo coll’abbadessa, non fece che caldamente ingiungerle di tenere celata al mondo di fuori quell’obbrobriosa faccenda, ricordandole l’invasione de’ birri all’occasione di Concetta, e citando, come seppi dipoi, la massima, che “la biancheria sudicia va lavata in famiglia”.
      Ma ben più austera, ed altrimenti dura fu l’ammonizione ch’egli rivolse alle suore, come si furono introdotte alla sua presenza. Non ne dimenticherò mai l’epilogo.
      «Il vostro monastero» disse, «è addivenuto il bosco di Bovino, ove si ruba a man salva; almeno in quel bosco non vi sono madonne e santi da derubare!».
      Quindi interdisse la comunione alla ladra, e in nome dell’adirata Vergine le impose la sollecita restituzione degli oggetti involati, lasciando infine travedere all’intera comunità la possibilità d’una solenne censura ecclesiastica.
      Alcune piansero, altre si sdegnarono, una svenne, le altre escirono dal refettorio rifacendo per canzonatura la facciaccia ed i gesti di Sua Eminenza. La mattina seguente, tutte di concerto si comunicarono, tutte senza eccezione, e due giorni dopo si rinvennero, deposti sull’altarino derubato, ducati sei.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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