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      Non già perché il mio cuore a ventisett’anni fosse morto all’amore, o perché avessi aspirato al selvatico onore di farmi rigido Catone dei poveri innamorati: no, davvero; ma mi disgustava la loro ipocrita e simulata bacchettoneria: quel voler ostentare delle virtù ed un candore che non avevano; mi disgustava la persecuzione che movevano a qualcuna delle loro compagne, se per caso stranissimo avesse questa concepito simpatia per un uomo che non fosse sacerdote od avviato al sacerdozio. Queste finzioni, questi egoismi di casta, e non altro, io detestava. Che se avessero francamente mostrata la loro debolezza per tale o tal altro prete, per tale o tal altro chierico, io le avrei con pari franchezza compatite, come avvenne più volte con qualche educanda, monaca o conversa che mi aveva confidato il segreto della sua fragilità; le avrei compatite con quel cuore propenso a’ sentimenti di umanità, partecipe delle debolezze di sua natura, con quel cuore sensibile, che sotto la ruvida lana tuttavia batteva... Una volta era desso in procinto di rinfiammarsi (non per un religioso): chiesi soccorso a Dio, e Dio ne spense le faville. Una passione di quella sorta non avrebbe fatto che aggravare la mia sventura.
      Egli era un medico; l’amai per ispontanea ispirazione, l’amai nei più reconditi penetrali dell’affetto, innanzi che la ragione se ne fosse accorta. In grazia del mio ufficio d’infermiera lo vedeva spesso: spesso nella cella dell’inferma l’accompagnai con gli occhi umiliati a terra, col sentimento dell’abdicazione che avevo fatta ad ogni commozione tenera, col convincimento che sotto il voto della monastica castità, spregevole sarei stata da lui reputata, ove uno sguardo solo mi avesse tradita.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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