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      Chiarina aveva il volto di un angioletto: sembianze regolari, guardatura attraente, profondamente patetica. Era impossibile, anche alle persone del suo sesso, averla veduta una volta alla sfuggita, e non sentirsi la voglia di pascer la vista nella contemplazione de’ suoi sguardi incantevolmente languidi. Quegli occhi mandavano fuori tale un influsso di carità, che avrebbero sull’istante placata la più gran collera. Ma, se vago aveva il sembiante, era però deforme di corpo e malaticcia. Affetta da un aneurisma che le aveva dila-
     
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      tata la regione cardiaca, essa era tormentata da tosse ostinata e da palpitazioni di cuore frequentissime che le rendevano affannosa la respirazione e velata la voce.
      Né meno bello del volto era l’animo suo, animo ingenuo, cortese, mansueto e dotato di mirabile pazienza. Possedeva quella ragazza la facoltà di ben giudicare quali cose fossero da fare, quali da evitare, facoltà ch’io, superiore a lei di molti anni, ammirava, ma non sapeva imitare.
      Lì nel chiostro però, oltre la mancanza della salute, aveva la poveretta due grandi malanni: l’essere allieva mia, e l’aver per cameriera una conversa che facevale non dirò da matrigna, ma da tiranna. Era ben naturale che l’odio, dalle giovani monache giurato alla maestra, si riflettesse altresì sulla discepola. In quanto alla conversa, era essa un mostro di brutalità, una belva feroce a faccia umana. Essendo la giovinetta piuttosto ricca per eredità, aveva preso a covare il reo progetto di non lasciarsi scappare di mano quella preda, ma di perpetuarne il possedimento, obbligandola con ogni sorta di coazione a pronunziare i voti, e volendola accostumare bel bello al suo despotico dominio.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337