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      Una volta, sdraiatami sul materasso, col povero cibo inacidito nelle mie viscere, ma con l’animo risoluto alla resistenza, chiamai dappresso la fedela conversa, e presala per mano, con gli occhi pregni di lagrime, l’interrogai così:
      «Tu dici, Maria Giuseppa, di non volerti mai separar da me: sei ben risoluta in ciò che dici?»
      «Ah, signorina, e ne dubitate?»
      «Se dunque ami tanto me, non puoi che amare nel pari tempo tutti coloro che mi sono amici, e detestare gli altri che mi sono nemici».
      «Questo già lo sapete per esperienza».
      «Ora se ti dicessi che fuori di questo recinto ho molti amici, e tanti, quanti sono gli abitatori del nostro bel paese che sospirano per l’uguaglianza e per la libertà: che sentiresti tu per loro?»
      «Li amerei per certo, sì perché li amate voi, sì perché chiedono l’uguaglianza e la libertà».
      «Brava Giuseppa!» soggiunsi, dandole alla mano una stretta più forte, e libero lasciando allora lo sfogo ai sentimenti che m’agita-
     
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      vano il petto: «Se dunque, deposte coteste insegne dell’egoismo e dell’inerzia, e indossate quelle di vivandiera di reggimento, io ti dicessi: seguimi, Giuseppa, in Lombardia, o nella Venezia, là dove pugnano i forti per la libertà de’ deboli, dove siamo chiamate pur noi dal dovere di madri, di sorelle, di cittadine; anzi che marcire nel servizio di queste nemiche d’ogni bene altrui, non preferiresti di far da infermiera, da farmacista, da panettiera a’ prodi che vanno ad immolarsi pel miglioramento di tutti?»
      «Vi seguirei di tutto cuore... vi seguirei sull’istante» rispose Maria Giuseppa con trasporto, asciugandosi col grembiule le lagrime che già le bagnavano le gote.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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