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      La tirai pel braccio, me la strinsi al seno, le diedi un bacio.
      In quell’amplesso, in quell’effusione di affetti, in quel bacio di concordia, la figlia del popolano e la figlia del signore formarono una sola persona!
     
      Mentre un giorno avveniva per le pubbliche vie uno di quelli irragionevoli allarmi, che in tempi di politici sconvolgimenti conturbano troppo di frequente la città di Napoli, io ed altre due monache, curiose di sapere il motivo per cui le porte e le finestre del vicinato si serravano con fracasso, ratte salimmo al campanile, dalla cui sommità si scorgono tutti i quartieri circonvicini.
      Tutta la gente correva a precipizio: tre soli giovanetti se ne andavano pacatamente. Ci guardarono a traverso le inferriate, ed uno d’essi sorridendo:
      «Allegramente, monachelle!» disse: «fra poco finiranno pur le vostre pene!».
      La compiacenza mi rifulse in volto. Una delle monache, avvedutasene,
      «Tu ridi!» mi disse: «è cosa da piangere piuttosto!»
      «Piangi tu, che ci perdi» risposi: «io, che ci guadagno, ne rido». L’abbadessa, risaputo ciò che avevamo fatto, chiuse il campanile a chiave. Se non che, in altri luoghi del monastero restavano pur altre finestrine, donde io poteva esplorar di soppiatto ciò che nel mondo di ruori si facesse. E già sapeva che la Costituzione, dal re accordata, non prometteva in materia di religione veruna riforma. Egli, barbogio e sanfedista, egli caparbio ipocrita, né libertà di culto aveva conceduta, né alcuna cosa ond’io potessi sperare di vedere prossimamente soppresse quelle bolgie d’inferno, obbrobrio del nostro secolo, che si chiamano chiostri.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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