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      Ora, il cardinale, per fini a me ignoti, si ostinava a contrariarmi; due anni e mezzo erano già decorsi, dacché io soccombeva al suo inqualificabile procedere.
      Il giorno quindici maggio era spuntato: giorno nefasto di reazione, che noi napoletani ricorderemo sempre con rossore.
      Fatta anticipare di due ore la recita dell’ufficio divino, la badessa ci diè licenza di salire sul belvedere, onde mirare il re, che doveva recarsi alla vicina chiesa di San Lorenzo, essendo quello il mattino dell’apertura del parlamento.
      Io aveva veduto nel mese di gennaio questo principe passare a cavallo in mezzo al popolo, l’aveva veduto, precisamente sotto il
     
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      campanile di San Gregorìo, sciogliersi la coccarda tricolore che portava al petto, e cacciarsela in tasca, indi avviarsi nel quartiere del mercato, affine di non esporre agli occhi dei popolani, di cui formicola quel quartiere, l’emblema della giurata libertà.
      Questo atto, sfuggito all’osservazione dei più, m’era sembrato di tristo auspicio.
      Alle dieci venne ansante il portinaio a dirci che, essendo tutta asserragliata la via Toledo, dovevamo pur noi chiudere prestamente il monastero.
      Mi portai in un batter d’occhio al solito finestrino di vedetta; la Guardia Nazionale, che stava di picchetto a San Lorenzo, andava e veniva affannosa. Un primo colpo di cannone m’avvertì esser l’affare serio, più di quello che aveva immaginato. L’umano, il fedele, il costituzionale principe regalava le bombe alla sua capitale, e le palle di moschetto agli amati sudditi!


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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