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      Volli pur prendere commiato da quelle che mi avevano mosso guerra; ma non mi riescì di vederle, perché si erano nascoste.
      Scesi dipoi in chiesa, piegai riverente il ginocchio davanti all’altar maggiore, ed ivi, sollevato lo spirito alla Divina Provvidenza, le resi grazie dal profondo del cuore.
      Dopo nove anni di angosce crudeli, rivarcava alfine quella soglia,
     
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      che aveva creduto non dover più oltrepassare.
      «Su, via!» disse un po’ impazientita mia madre: «quanto ti sei fatta aspettare!».
      Così disse a me, che per suo volere aveva aspettato nove anni! Le carrozze si mossero. A pochi passi della porteria mi volsi a rimirare le alte e nude mura del monastero, e il campanile e la gradinata e i pilastri del tempio. La cancellata mi richiamò la memoria del giorno, in cui quei striduli ferri m’avevano separata da’ più cari oggetti, e mesta mormorai fra me stessa le celebri terzine:
     
      E come quei, che con lena affannataUscito fuor del pelago alla riva,
      Si volge all’acqua perigliosa, e guata;
     
      Così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
      Si volse indietro a rimirar lo passo,
      Che non lasciò giammai persona viva.
     
      [189]
     
     
     
      XIXConservatorio di Costantinopoli
     
     
     
     
     
     
      Le suore del nuovo monastero aspettavano la comitiva alla porta. Terminate le cerimonie al vicario, e partita mia madre, mi fecero salire alla stanza da pranzo della badessa, non avendo un refettorio comune. Ivi sedetti a pranzo colla superiora e con tre altre monache, dopo di che venni condotta al secondo piano, nella stanza a me assegnata presso la chiesa.
      La città di Napoli, travagliata nel 1526 da fierissima pestilenza, che la disertò di sessantamila anime, votava alla Madre di Dio una piccola cappella.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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