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      Un’apprensione mi restava. Mi avrebbe la corte di Napoli accordato il regio exequatur? Per buona sorte, il ministro Fortunato firmò l’atto di consenso, senza punto sospettare ch’io fossi monaca professa.
      Ottenutolo così di leggieri, feci un altro passo innanzi. Intavolai una pratica a Roma per altro permesso, che mi autorizzasse a passare dall’Ordine di San Benedetto a quello di SantAnna delle Canonichesse di Baviera. Ma qui incappava di bel nuovo negli agguati de’ preti. Il cardinale rispose facetamente, che io poteva portare le insegne bavaresi sull’abito da monaca benedettina.
     
      Un malanno vien dietro all’altro, dice il proverbio.
      Le suore del conservatorio erano divise in tre partiti. Uno era quello dell’abbadessa, composto di oblate superlativamente bigotte e fanatiche pe’ preti; un altro di giovani, non nemiche del progresso e della civiltà; il terzo delle educande, che non facevano lega col primo, né simpatizzavano col secondo partito. La scambievole animosità dei partiti giungeva fra le monache a segno tale, che quando s’incontravano nel giardino o pei corridoi, o si voltavano le spalle, o tornavano indietro.
      Era meno tronfio d’orgoglio quel sovrano di Francia, che al secolo suo diede il proprio nome, quando diceva lo Stato son io, di quello che non fosse la condottiera del partito fanatico, cioè la badessa, nel sentimento del proprio dominio. Sveglia d’ingegno, ma petulante ed intrattabile, avara quanto una vecchia zittellona, soprattutto caparbia e ignorante, ella era sanfedista nata: eccellente pasta per un pontefice, se fosse nata uomo.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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