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      Uscii del coro per disbrigarlo; l’abbadessa mi venne dietro, e vedutami parlare con lui:
      «In coro si fa la meditazione: state là!» mi disse con imperiale sussiego, e puntando l’indice verso il suolo.
      La fissai, per esaminare se quelle parole erano dirette a me. Essa, immobile, continuava a tener gli occhi pertinacemente fissi sul mio viso. Allora le dissi: «Sappiate, signora, che impertinenze alla Caracciolo non se ne fanno. Io non sono né educanda né monaca di questo conservatorio. Se vengo a coro, ci vengo per ispontanea volontà. Ora che voi lo esigete, non mi ci vedrete mai più!»
      Pochi giorni dopo, mi si presentò l’occasione di prestare un gran servizio a quella comunità; ed io, posto da parte il risentimento per le scortesie della badessa, mi ci prestai colla più viva sollecitudine. Ecco come:
      Da molti anni le suore francesi dell’Ordine di San Vincenzo de’ Pa oli avevano ottenuta parte di quel conservatorio per uso di scuola pubblica. Non paghe della parte occupata, pretendevano l’intero locale, e già stavano per riuscirvi. Le altre suore nostrane, costernate a tale pericolo, e povere di protezione, pensarono di ricorrere alla clemenza del principe.
      Coll’influenza del Salluzzi feci ottenere sollecita udienza all’abbadessa, e ad uno dei governatori del conservatorio. Né mi ristettiquesta sola pratica; perché, fatta stendere una supplica dal Generale, conseguii prestamente un decreto reale, favorevole alle mie
     
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      ospiti. Ma quella gente è come il gatto, risponde alle carezze coi graffi.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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