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      Qui, senza volerlo, feci una risata.
      «In primo luogo» risposi, «non ho suonato quello che credete, ma bensì un pezzo di Rossini; voi, non intendendovi di musica, avete preso un equivoco. Ma posto ancora, che invece di musica seria, avessi suonato una Tarantella, od un’arietta amorosa, che forse motivi simili non si eseguiscono sull’organo d’ogni chiesa nel tempo della messa e della benedizione?»
      «Queste sciocchezze a me non si danno ad intendere!».
      E battendo i piedi, e gesticolando soggiunse:
      «Il cardinale mi aveva detto che non vi sareste trattenuta qui più
     
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      d’un semestre: ora è già scorso un anno, e non si parla più della vostra partenza».
      Qui colsi l’occasione di castigare quell’orgoglio imbecille. Noi eravamo sole sole: io forzai il mio volto all’affabilità, inzuccherai la voce, ed avvicinatami a lei misteriosamente:
      «Buona madre» le dissi, «se qualcuno vi udisse parlare tanto duramente di me, crederebbe per certo che foste impaziente di liberarvi della mia presenza. Eppure, chi mai di questa famiglia non conosce l’affetto sincero che mi portate, le cure materne che mi usate? Meglio d’ogni altro lo so io, che vi pago della medesima moneta, io che vi corrispondo con eguale benevolenza...»
      «Da quando in qua?» domandò ella, aprendo le labbra ad un sorriso sardonico.
      «Ve ne ho data prova poche settimane sono; ve ne darò un’altra, e più sicura, adesso, che si tratta, non più della salvezza di questa casa, ma del vostro proprio onore, del vostro grado, e forse della vostra libertà...»


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Rossini Tarantella