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      Da me pregata, mia madre portossi a Gaeta all’incontro di Pio IX, con una supplica nella quale io chiedeva al pontefice l’atto di secolarizzazione, coll’impegno di rimanere vincolata a’ voti, non altrimenti che come semplice canonichessa. E perché le monache di San Gregorio avevano mosso lite per indennizzazione a quel mio parente, che simulato aveva nel tempo della professione d’essermi debitore di ducati mille, io implorava inoltre dal pontefice d’esser dichiarata immune da tale ingiusta esigenza.
      Pio IX parve commosso alle istanze di mia madre, alle preci delle mie sorelline. Si volse attorno per vedere se nella stanza vi fosse l’occorrente per scrivere, e non avendolo trovato, disse alla mia famiglia di ritornare dopo due giorni.
      Intanto il mio acerrimo persecutore, l’arcivescovo e cardinale, informatosi di queste pratiche, partiva premurosamente da Napoli alla volta di Gaeta, e vi giungeva l’indomani dell’arrivo di mia madre, latore di quella lettera famosa, da me indirizzata al papa sotto la salvaguardia della confessione, e da lui intercettata e aperta.
      Mia madre tornando dal pontefice lo trovò cambiato.
      «Signora» le disse con gravità, «fate che vostra figlia si contenti di quello che ha ottenuto finora; chi troppo vuole, niente ha. Ella vorrebbe mutar abito e condizione: non possiamo consentirvi. Che direbbero, che farebbero le altre monache, vincolate nella medesima sua condizione? Avevamo dimenticato il suo nome l’altr’ieri: ce l’ha rammentato il cardinale Riario, ed oggi stesso abbiamo letta una carta, ch’essa c’indirizzava due anni fa».


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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