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      Cento tristi pensieri, cento timori, a me ignoti fino a quel punto, presero a funestarmi lo spirito, a conturbarmi la coscienza.
      Avvistami l’evasione non essere che un riparo provvisorio, giacché la polizia m’avrebbe presto o tardi rintracciata, pensai che il trafugarmi sarebbe stato un partito tanto vano, quanto pure stolto e dannoso, e mi parve d’essermi ostinata troppo in un sistema di folle resistenza.
      “Dove andrò? Che farò?” domandai a me stessa. “Girerò il mondo fuggiasca e alla ventura? Non bastano gl’infausti voti, che da madre e da sorelle mi separano, ma debbo pur di propria mano scavar più profondo ancora l’abisso del mio isolamento? Fossi uomo! Ben altrimenti saprei lottare allora coll’inesorabile destino! Ma donna... e donna, agli occhi del mondo riprovevole per avere ripudiato con troppo prestezza l’umano consorzio: io povera, io malata, e senza consiglio, e priva d’una mano pietosa, che voglia trarmi dalla voragine, ove affondo e affogo; quale, quanta resistenza opporrò, Dio mio, alla combinata persecuzione di due poteri, che con accanimento crescente m’incalzano?”.
     
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      Il sonno, di che la madre e le sorelline godevano, mentr’io desta e abbandonata alla mia vertigine, lottava fra contrari affetti; il cupo silenzio che m’avviluppava come per separarmi più presto dal commercio de’ miei cari, non servirono che a rendermi maggiormente orrida e spaventosa l’immagine dell’esilio.
      “Piuttosto che camminar di porta in porta, e limosinare il pane amarissimo dell’esilio, non sarebbe meglio” ripresi a dirmi, “cedere al destino, rassegnarmi alla dura necessità, placare colla simulazione l’ira de’ superiori, colla compiacenza insinuarmi nella loro grazia; e, non potendo rompere le catene, ottenere almeno che mi siano alleggerite al piede.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Girerò Dio