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      Ma la fortuna, che tanto sovente si prende gioco dell’umana felicità, accingevasi a farmi pagar caro quel lampo di ebbrezza.
      Maria Giuseppa, la più costante e fedele partecipe delle mie disgrazie, riponeva tutta la sua felicità nell’assicurarmi che non mai m’avrebbe abbandonata, finché sarei infelice. Chi le avrebbe detto che quella sera era l’ultima in cui stessimo insieme?
     
      Il giorno appresso, ad un’ora pomeridiana era a pranzo coi miei parenti... Fu suonato alla porta.
      La vecchia fantesca di mia sorella s’affaccia alla finestra che metteva sulle scale, e tutta turbata ci dice che un prete cercava di me.
      «Fatelo entrare!» rispondo, credendo fosse non altri, che l’ex vicario di Capua, uso a visitarci talora.
      Ma il cuore, a’ disastri assuefatto, presago sempre di malore, cominciò a palpitarmi gagliardamente.
      Odo i passi, non d’una sola, ma di più persone. M’accosto all’uscio di sala per udire, e odo un alterco fra i venuti e mio cognato.
      Oltrepasso la soglia, e vedo un uomo di proporzioni colossali, di testa enorme, di faccia a luna piena, una specie di Briareo, che stavasi padronalmente adagiato sul divano; accanto a lui sedeva un prete livido, smilzo, di sinistro aspetto, mentre mio cognato, costernato, puntava entrambe le mani sulla spalliera di una seggiola.
      Sebbene ignoti, quei due sembianti mi fecero raccapricciare.
      Il gigante, dato fiato alle fauci, con voce non dissimile al muggito della conca marina:
      «È ella la religiosa Enrichetta Caracciolo Forino?» mi domandò.
      «Sì» risposi: «con chi ho l’onore di parlare?


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
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