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      Le pareti ignude e insudiciate, la soffitta a travatura, il pavimento a mattoni rotti, per mobilia due sole sedie apoplettiche, e null’altro.
      La priora e il prete superiore dell’inquisizione letteraria uscirono fuori per discorrere a bassa voce; rimase meco il solo prete della curia.
      Chi crederebbe alla galanteria d’un vampiro?
      Vedutami sola, derelitta, sconsolata, e priva d’ogni difesa, quel prete, che non era vecchio, pensò di trarre profitto dall’opportunità, facendomi travedere il vantaggio della sua protezione; preso dunque un atteggiamento da cascamorto, che fece maggiormente spiccare la sua ributtante fisonomia, stendendo le scarne mani verso di me:
      «Se qualche cosa vi occorre» mi disse, «ditelo pur liberamente alla priora, colla quale avrete già simpatizzato; come, suppongo, vorrete simpatizzare anche col vostro devoto servitore».
      Accompagnarono l’ultima frase un profondo inchino ed un sorriso, che mise allo scoperto l’orrida sua dentatura.
      «Mostro esecrando! » gridai cogli occhi stralunati, e additandogli la porta coll’indice. «Vattene in malora, e riferisci a chi ti manda qui, che spero coll’aiuto del Cielo di vedere ben presto e lui e te e tutti quelli che vi somigliano mandati in perdizione!».
      Non diede alcun indizio di rossore, ma ripreso il cappello, quatto quatto guadagnò l’uscio, che io richiusi con furia alle sue spalle.
      Allora, ritornata nel mezzo della stanza, m’inginocchiai, giunsi le mani, e, sollevati gli occhi al cielo, il cuore a Dio, pregai dal più profondo dell’anima per la calunniata innocenza.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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