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      All’idea di quest’ultimo e più barbaro colpo del destino, non seppi più rinvenire nell’intrepidezza quella morale energia, con che aveva resistito fino allora ai colpi della sventura. Per essere uomo, e non
     
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      donna (non fosse che per pochi giorni), per trovarmi in Londra, in Parigi, in America, in un paese libero, non d’altra cosa padrona che d’alcuni fogli di carta e d’una penna, avrei rinunziato, non dirò all’esistenza, della quale può soltanto disporre chi l’ha creata, ma sicuramente ad un trono, se ne avessi avuto a mia disposizione.
     
      Un’ora dopo fu bussato leggermente all’uscio: non risposi. Il picchio è replicato: e io zitta. Al terzo picchio, sento la voce della priora, che mi prega di aprire.
      «Non sono padrona neppure di questo tugurio?» rispondo con voce adirata.
      «Sì, signora, siete padrona, ma dovete aprire».
      «Atterrate l’uscio, se vi pare: io non vi apro!».
      La priora prese a supplicarmi con parole umili, giustificando il disturbo che mi recava colla necessità di far una cosa per me.
      Aprii allora, e la vidi atterrita dall’atteggiamento ch’io aveva preso. Due converse vi portavano un letto, un tavolino e una lucerna.
      «Abbiate» dissi, «la bontà di procurarmi l’occorrente per iscrivere».
      Essa storse il viso, a modo di persona che ha da comunicare uno spiacevole annunzio. Poi, biascicando le parole:
      «Debbo» disse, «con mio dolore farvi sapere, che il leggere e lo scrivere vi sono proibiti da’ superiori fino a nuov’ordine».
      «Non potrò dunque corrispondere per iscritto neppure co’ miei parenti?


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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