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      quella forsennatezza, atti, che citerò per dovere di fedeltà, ma la cui riprovevole natura sono io la prima a deplorare.
     
      Sull’imbrunire entrò col lume una conversa, e le tenne dietro la priora, munita di sali e di caraffini, che volle farmi odorare. Le dissi aver immaginato, e voler mettere in esecuzione un mezzo, che deluderebbe la pubblicità del mio supplizio. Il tuono serio e cupo con che espressi quest’intendimento la fece ridere. Era una donna sotto i quaranta, fresca e vegeta ancora, ed affabile, anzi che no. Il mio stato la muoveva a pietà, poiché non si riguardava di rivolgermi parole di compassione; ma, non meno tenera della sua carica, aspirava all’approvazione de’ superiori eseguendo pedantescamente i loro ordini. Tale ingrata incombenza, io, nel suo caso, non l’avrei accettata.
      Più tardi mi fece portare una scodella di brodo: la rifiutai. La notte che seguitò fu la più angosciosa della mia vita: vera agonia di morte. M’alzai più volte per rinnovare la preghiera a Dio di conservarmi sana la ragione.
      Fatto giorno, mi portarono il caffè: lo rimandai non tocco, e così fu rimandato anche il pranzo.
      Due ore dopo vennero i miei bagagli. La priora mi consegnò una lettera di mia sorella, già aperta da lei. Quanto blandite furono le pene mie dalla notizia che Maria Giuseppa era stata, dopo l’interrogatorio, consegnata a suo zio! Aggiungeva mia sorella d’aver già scritto a nostra madre, la quale, informata dell’avvenimento, non avrebbe mancato di chiedere una udienza al re.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





Dio Maria Giuseppa