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      Mi disse una conversa:
      «E venuto il cardinale, e domanda di voi: spicciatevi!».
      Mi ritornarono in mente le vessazioni, le promesse mancate, i tradimenti, la lunga oppressione, la trista scena dell’arresto. Avrei voluto licenziarlo, scaricargli addosso col congedo la pienezza del mio risentimento: ma dissi fra me:
      «E presto ancora: cogl’ipocriti ci vuol politica».
      Lo trovai nel salotto. Non l’aveva veduto da quattr’anni: mi parve invecchiato di dieci. Le gagliarde convulsioni che in Italia avevano agitato e la Chiesa e lo Stato avevano solcato la sua fronte di geroglifici, indizio di prematura vecchiezza. Riario non era più quello di prima: mi parve non lui, ma l’ombra sua.
      M’avanzai senza inginocchiarmi, sedetti senza chiederne il permesso.
      «Voi ricordate il passato e non potete lasciare il broncio» mi disse con sorriso sforzato. «Confesso d’essermi male regolato talvolta; sono uomo anch’io – homo sum – e ogni uomo può sbagliare».
      Dopo tanti disinganni, lasciarsi riprendere all’esca sarebbe stata una pazzia.
      «Solamente» risposi dopo un lungo silenzio, «solamente per rispetto al vostro sacro carattere, e perché credo al vostro ravvedimento, condiscendo a gettare un velo sul passato».
      «Siete dunque irremovibilmente risoluta di uscire del chiostro, ove vi richiamano voti solenni?»
      «Ubbidisco alla voce di Dio, che mi richiama alla vita».
      «E vi proponete inoltre uscirmi di mano, trasferendovi in altra diocesi: lo so. Deh non lo fate, per l’amor del cielo! Non vogliate ripudiare la casa che vi ha visto nascere, il padre che vi allevò, e tuttavia vi sostiene!


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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