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      In quello spavento e confusione niuno accorse per vedere se era rimasto vivo o morto, finché non giunse la polizia che lo trovò sotto la finestra disteso. Si era rotte le gambe, le braccia e i denti, ma vivea tuttora; morì il giorno dopo nelle carceri di San Francesco. La sua sorella, e moglie dell’ucciso, incinta di sei mesi, fu condotta in quel medesimo giorno all’ospedale de’ pazzi.
      Atterrita da questa tragedia, che diè largo argomento di dicerie alla città, la vecchia dama che meco dimorava non volle più vivere fuor del monastero, temendo forse di andar sottoposta ad altri simili spaventi; per la qual cosa, lasciatami colla nipote, entrò un’altra volta nel ritiro, ed io, mutato alloggio, mi rinselvai in un altro non meno solitario quartiere.
      Ma il delitto del prete dovea mettere la polizia e l’arcivescovo sulle mie traccie. A chi non è palese la penetrazione della polizia borbonica, massimamente in materia di liberalismo?
      «Il regno di Napoli» scriveva Vittore Hugo «non ha che un’istituzione: la Polizia. Ogni distretto ha la sua commissione per le bastonate. Due sbirri, Aiossa e Maniscalco, regnano sotto il re; Aiossa bastona Napoli, Maniscalco la Sicilia. Ma il bastone non è che un rimedio turco, e il governo napoletano ha per giunta un gastigo dell’Inquisizione: la tortura. Ed ecco come: uno sbirro, Bruno, tiene gli accusati legati col capo fra le gambe finché non confessino. Un altro
     
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      sbirro, Pontillo, li pone a sedere sopra una graticola, e accende il fuoco di sotto; è questa la sedia ardente.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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