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      Un altro sbirro, Luigi Maniscalco, parente del capo sunnominato, è inventore d’uno strumento: vi si introduce il braccio o la gamba del paziente, e gira una vite, e quel membro si va fratturando; è questa la così detta macchina angelica. Un altro sospende un uomo a due anelli di ferro con le braccia ad un muro, con i piedi al muro di contro: ciò fatto, salta su quell’infelice, e ne disloga le membra. Vi sono le manette, che slogano le dita della mano: v’ha il cerchio di ferro che stretto da una vite si pone sul capo, e serve a fare schizzar gli occhi fuori della fronte. Qualche volta si perviene a fuggire, ed avvenne così a Casimirro Arsimano; ma chi lo crederebbe? Sua moglie, i suoi figli, le sue figliuole sono state arrestate, e messe sulla sedia ardente in sua vece.
      «Il Capo Zafferano confina con una spiaggia deserta. Su questa spiaggia alcuni birri portano dei sacchi, e in questi sacchi vi sono degli uomini. S’immerge il sacco nell’acqua, e vi si mantiene fino a che non si dibatta più; allora si tira fuori il sacco, e si dice a chi vi è dentro: Confessa! Se ricusa, s’immerge nell’acqua di nuovo. In questo modo morì Giovanni Vienna di Messina. A Monreale un vecchio e sua figlia erano sospettati di patriottismo: il vecchio morì sotto il bastone; sua figlia, ch’era incinta, fu denudata e fatta pur morire sotto il bastone... Ciò accadde nella patria di Tiberio».
      Questa polizia dunque, avendo preso nota del nome di tutti gl’inquilini del palazzo ov’era successo l’assassinio, non mancò di far noto al cardinale e il mio ritorno in Napoli, e il mio domicilio ancora; seppi allora di buon luogo, che se per mala ventura fossi presa, avrei forse potuto scapolare la sedia ardente, ma non per fermo la bastonata.


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Misteri del chiostro napoletano
di Enrichetta Caracciolo
pagine 337

   





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