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      Lo mostrano molte altre e poesie e prose che giacciono inedite per le biblioteche, colpa la erudizione pusillanime de' nostri critici d'accademia e di sagrestia? E il nome d'Italia non ricorre frequente fin nei versi degli Arcadi? Ben poco bastava aver veduto della nostra letteratura, per non proferire un'accusa sí amara; della nostra letteratura, a cui fu dato taccia di essere troppo egoisticamente nazionale.
     
      Anche, avrebbe dovuto il dott. C., per acquistarsi maggior fede, curar piú la esattezza dei particolari e delle citazioni. Nulla dirň delle poche notizie intorno ai cinquecentisti, ch'egli ha per sua confessione solamente scartabellati, e dove gli errori son piú veramente imputabili al Cantú che non a lui. Ma in certo luogo, dopo aver chiesto il bando della lingua latina dalle scuole, egli, per mostrare con gli argomenti del D'Alembert la impossibilitŕ del recare in quelli studi la critica grammaticale ed estetica, domanda agli uomini di buona fede: «come sentiranno che Virgilio sia cosí trascurato nella lingua da aver ordinato egli stesso la dispersione dell'Eneide, che a noi pare un modello di latinitŕ?» Veramente non č questione di lingua scorretta: Virgilio voleva arso il poema, perché non gli aveva dato ancora l'ultima mano né l'avea terminato (ut rem inemendatam imperfectamque), e sconsigliatone da Seneca e Varo lo legň loro per testamento, sub conditione ne quid ederent quod a se editum non esset, et versus etiam imperfectos, si qui erant, relinquerent: tanto era lungi dal dubitare della correttezza della lingua: veggasi Donato e i biografi tutti.


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Conversazioni critiche
di Giosuč Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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