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      «Come comprenderanno - séguita il dott. C. - che Orazio sia verboso come ne č tacciato da Ovidio?» Veramente il tenuit nostras numerosus Horatius aures non suona rimprovero di verbositą, ma č lode di armonia nel numero e di pienezza di stile: veggansi i dizionari. «Come Cicerone, lo dicono Tacito e Quintiliano, camminasse balzellante od incolto?» Veramente non č Tacito che dice incólto Cicerone: č l'oratore Apro, il partigiano del cattivo gusto, il Tesauro del tempo suo, introdotto nel famoso dialogo da Tacito come antagonista di Messala, seguitatore della buona tradizione, č Apro a cui Tullio sembra non satis expolitus et splendens; quali apparivano gli scrittori nostri del Trecento ai letterati della scuola del Bettinelli e del Cesarotti. E Quintiliano non fa che riferire come Cicerone ad alcuni suoi contemporanei avesse aria di essere in compositione fractior et exultantior: ma quanto debban reputarsi fondati sul vero i giudizi dei contemporanei, impacciati dalle parti politiche o dalle scuole letterarie, non importa avvertire. E le accuse di arcaismo a Sallustio e di patavinitą a Livio erano non dell'opinione pubblica, sķ d'Asinio Pollione; il quale fu, come a dire, un pedante che andava per la maggiore e si compiacea dei paradossi; archetipo di molti critici de' nostri giorni. Per quel che tócca a Ovidio, non č difficile anche a noi moderni il sentire come il Sulmonese corra profuso quasi sempre e sia dilavato talvolta; e potremmo anche additare i versi ove egli fallisce alle regole inventate di poi.


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Conversazioni critiche
di Giosuč Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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