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      Il fatto che Michele Cervantes mise tutta la sua gioventú al servizio del piú gran campione della cattolicità, che gl'interessi della cattolicità egli propugnò con la persona, dà ragione a credere che questi interessi gli stessero forte a cuore, e ribatte l'opinione assai diffusa che solo il timore dell'Inquisizione lo ritenesse dall'accettare nel Don Chisciotte le idee protestanti del tempo suo. No, il Cervantes fu un figlio fedele della Chiesa Romana, e non pure diede il suo sangue nei combattimenti cavallereschi per la bandiera benedetta da lei, ma per lei patí con tutta l'anima il piú crudele martirio in una schiavitú di molti anni tra gl'infedeli.
      Noi dobbiamo al caso parecchi particolari su la vita del Cervantes in Algeri, i quali fanno ammirare nel grande poeta un eroe altrettanto grande. La storia della schiavitú da lui sofferta confuta con la piú splendida efficacia le melodiose menzogne di quel morbido e bel vivente, il quale diè ad intendere ad Augusto e a tutti i pedanti tedeschi ch'egli era un poeta e che i poeti sono vigliacchi. No, il vero poeta è anche un eroe, e nel suo petto abita la pazienza, che, come dicono gli Spagnoli, è un secondo coraggio. Non si dà spettacolo piú sublime del vedere questo nobile castigliano schiavo del Bey d'Algeri, constante a pensare la sua liberazione, infaticabile a prepararne gli arditi divisamenti, tranquillo a riguardare in faccia tutti i pericoli, e, quando l'impresa veniva meno, pronto a sofferire tortura e morte, anziché tradire pur con una sillaba i complici.


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Conversazioni critiche
di Giosuè Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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