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      Se nella Germania settentrionale poterono uscire opere di poesia vigorosamente sane, forse che si dee alla scuola sveva, che tirò a sé tutti gli umori malati clorotici e piamente sentimentali della Musa tedesca. Stuttgart fu come il cauterio della Musa tedesca.
      Ma, pur assegnando a quel gran triumvirato la supremazia nel dramma nel romanzo nel canto, io sono ben lontano dal diminuire il valore degli altri sovrani poeti. Questione da stupidi, qual poeta sia piú grande d'un altro. La fiamma è fiamma, e non si può pesare a libbra e oncia; e sol la volgar grossolana goffaggine d'un merciaiolo può scappar fuori con la sua logora bilancia da formaggio a voler pesare il genio. Non pur gli antichi ma anche parecchi moderni han fatto poemi nei quali la fiamma della poesia vampeggia splendida come nelle opere maestre di Shakspeare, Cervantes e Goethe. E pure questi nomi si tengono insieme quasi congiunti di misterioso allacciamento. Raggia dalle loro creazioni uno spirito di famiglia: vi respira dentro un'eterna dolcezza, come l'alito di Dio: vi fiorisce la compostezza della natura. Il Goethe ricorda molto spesso, come lo Shakspeare, anche il Cervantes, e al Cervantes somiglia fin nelle particolarità dello stile, in quella gioconda e comoda prosa colorita della piú dolce e innocente ironia. Il Cervantes e il Goethe si rassomigliano pur nei difetti, nella prolissità del discorso, in quei lunghi periodi paragonabili alla tratta di un corteggio reale. Non di rado un solo pensiero siede nella distesa d'uno di tali periodi, che procede con la gravità d'una gran carrozza di corte tutta a oro tirata da sei cavalli impennacchiati.


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Conversazioni critiche
di Giosuè Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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