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      Colą donde si niegaChe piś ritorni alcun.
     
      Ma la seconda strofe con le sue ore fugaci e meste che belle ne rende e amabili la libertade agreste, con Bacco che manda il vin e con la bella Innocenza che s'inghirlanda il crin, non esce punto dai cerchiolini dell'Arcadia. Della terza strofe qualche arcade allora vivo avrebbe per avventura rigirato un po' meglio i versi, segnatamente gli ultimi, dove quella man del gelato timor č fredda da vero, e quel sovente subito dopo la mano (sotto la man sovente) ci si trova a disagio per amore, o per isdegno, della rima. La quarta (Me non nato a percotere, ecc.) č bella in tutto e per tutto, per la veritą del sentimento e per la rispondenza dell'espressione: dopo i poeti del Trecento e dopo l'Ariosto nelle satire, nulla di altrettanto nobile era uscito dal petto di poeta italiano. Per vero il buon Passeroni aveva gią scritto:
     
      Cerchin cantando d'acquistar denariE facciano de' versi mercanzia
      Poeti adulatori e mercenari,
      E facciansi pagare ogni bugķa.
      Io pensieri non ho sķ vili e avari,
      E non contratto l'alma poesia:
      Me stesso e gli altri divertire io cerco,
      Canto a Milano, e non vi cambio o merco30.
     
      Due anni, si puņ dire, prima del Parini: ma quel suo poema č tanto lungo che a pena lascia ricordare ciņ che v'č di buono.
     
      Seguitando:
     
      Colli beati e placidiChe il vago Čupili mio
      Cingete con dolcissimoInsensibil pendķo,
     
      sono versi che i nostri padri dicevano a mente con tanta dolcezza di enfasi; e non ho voglia di sofisticare su que' due aggiunti di pendķo, uno dei quali, probabilmente insensibile, a Orazio sarebbe parso di piś. Ma credo che il Parini dopo scritto il Giorno dovč sentire egli stesso tutta la vacuitą, la improprietą, la indeterminatezza, la nullaggine melodrammatica de' due versi seguenti,


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Conversazioni critiche
di Giosuč Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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