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      A l'unico marito91.
     
      Altrove descrisse gli abitatori della selva primitiva, la cui immagine dalla filosofia del Vico e di Gian Giacomo sorrideva spesso alle visioni dei poeti del secolo:
     
      Vago per selve inospiteL'uom primo alpestre e duro
      Non conoscea ricovero
     
      Di tetto e d'abituro,
      Né spoglia difendevaloDal vicin sole o da l'acuto gel.
     
      Fra i perigli e il disordineTerribili a mirarsi
      I crin si rabbuffavanoSovra le ciglia sparsi;
      Gli occhi di furor lividiRado trovar sapean la via del ciel.
     
      Quando le stelle induconoIl sonno ai membri lassi,
      Sotto chiomata rovereGiacea tra fronde e sassi,
      E nel feral silenzioMinistro de' suoi sogni era il terror.
     
      Se foglia in ramo tremulaMormorava per vento.
      Còlto da pavor gelidoPremea nel petto il mento:
      Scosso raccapricciavasi,
      E stringea freddo sangue il tardo cor.
     
      Per l'atra solitudineTal di sé stesso incerto
      Se 'n gía con orme pavideMisurando il deserto
      L'uomo, a le belve símile,
      Sconoscente a natura, ignoto a sé.
     
      Salve, o fanciullo idalio,
      Spirator di leggiadreCure ne l'uomo indocile;
      Salve, de l'uomo padre.
      In società raccoglierlo,
      Se non Amor, qual altro dio poté92?
     
      Anche il Parini, per tornare pur una volta a lui, disseminò per le raccolte nuziali, oltre la canzonetta, altre rime parecchie. Un sonetto meritò di essere tradotto in leggiadro disegno da Andrea Appiani:
     
      Fingi un'ara, o pittor. Viva e festosaFiamma sopra di lei s'innalzi e strida:
      E l'un dell'altro degni e sposo e sposaQui congiungan le palme: e il Genio arrida.
     
      Sorga Imeneo tra loro; e giglio e rosaCinga loro a le chiome.


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Conversazioni critiche
di Giosuè Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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