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      ... D'amor digiunaSiede l'alma di quello a cui nel petto
      Non si rallegra il cor quando a tenzoneScendono i venti, e quando nembi aduna
      L'olimpo, e fiede le montagne il romboDella procella.
     
      Nel 1827 o 28 non si puņ fare a meno d'un po' di romanticismo, anche essendo Giacomo Leopardi. E, pur sedendo al banchetto nuziale, bisogna far giuramento di salvare la patria, e, - pst, pst, chiudete bene le porte - di ammazzare il tiranno. Va bene, e ci sto anch'io, nobili padri! Vogliamo cominciare la rivoluzione col coro di Donna Caritea? Oh meglio, meglio da vero che vendere l'orvietano di frasi sgrammaticate dai palchi scenici di qualunque specie a un popolo che non vuol piś saper nulla di grandezza e di patria!
      Ma, tornando anche una volta alla canzone del Leopardi, tutto cotesto era vero? - Č storico. - Č bello? - Era utile, opportuno, civile.
     
      La lirica nuziale, ripetizione oggimai vieta di luoghi comuni piś o meno affettuosi od occasionali, č non per tanto delle piś antiche tradizioni del canto popolare della nostra razza; e in Grecia e in Roma, quando la poesia accompagnavasi veramente, ideale emanazione, a tutti quasi gli atti della vita sociale, fu altamente civile e religiosa, senza per questo rimanere obbligata a forme fisse liturgiche o rituali.
      I greci ebbero di piś maniere poesie nuziali: epitalamii, cantati da cori di fanciulli e fanciulle davanti la camera degli sposi, o la sera al colcarsi o la mattina al levare: scolii, canzonette intonate in mezzo al convito da alcuno dei commensali: imenei, canti morali di ammonimenti e documenti intorno al matrimonio; e altri, descrittivi della pompa delle nozze; e inni a onore degli sposi.


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Conversazioni critiche
di Giosuč Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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