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      Imbrunisce. È l'ora che la sposa deve esser rapita a forza, come già furono le Sabine, dal grembo della madre o della congiunta piú prossima. Le fanciulle consanguinee, compagne, clienti, aspettano nell'atrio, con quella affettuosa e quasi religiosa trepidanza che è delle donne in quei casi.
      Il poeta, dinanzi alla casa, circondato dalle persone e dalle decorazioni della festa, invoca il giovine dio greco delle nozze; e chiama il drappello delle fanciulle a ripetere in coro l'inno dell'imeneo, ché il dio del piacere legittimo si renda piú facile alle preghiere di voci pure e di bocche innocenti. Ecco l'invocazione, illuminata dalla imagine della verginale bellezza di Vinia, uscente nel carme come Vespero che sale dai colli romani ad affrettare il momento della partita di lei dalla casa paterna105.
     
      O abitatore del colle d'Elicona, figlio di Urania, che trai di forza la tenera vergine al marito, o Imeneo Imen, o Imen Imeneo;
      cingi le tempie dei fiori della maggiorana dal soave odore, prendi il velo flammeo, vienne lieto, vienne fra noi, calzato il niveo piede nell'aureo socco;
      e tratto alla gioia di questo giorno, cantando con argentina voce il canto delle nozze, batti dei pié la terra, scuoti nella mano la teda di pino.
      Però che, quale Venere mosse dall'Idalio al giudice frigio, Vinia a Manlio, vergine buona con auspicio buono, si sposa,
      ridente come su l'Asio mortella da' ramicelli fioriti, che le Amadriadi nutrono loro delizia con l'umore della rugiada.
      Sí che, or via, affréttati a noi, lasciando gli spechi aonii della tespia montagna, cui dall'alto rinfrescando irriga la sorgente Aganippe:


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Conversazioni critiche
di Giosuè Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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