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      Come aveva chiuso la poetica adolescenza con l'imitazione della tragedia alfieriana nel Tieste e delle canzoni alfieriane nell'ode al Bonaparte, cosķ Ugo cominciņ alfiereggiando anche nei sonetti. Il primo, per la sentenza capitale contro la lingua latina proposta nel gran Consiglio Cisalpino l'anno 1798, ha solo il valore di documento storico, e del resto č inferiore a quello dell'Alfieri su la soppressione dell'Accademia della Crusca; anzi, a esser franchi, procede fra grandi avvolpacchiamenti di parole un po' slombato. Alfieriano sempre, ma gią con un tic d'originalitą, il secondo Non son chi fui. Ma di lķ a pochi mesi, forse a pochi giorni, ecco i tre, E tu ne' carmi, Perché taccia il rumor, Meritamente, mirabili di novitą, di puritą, di movimento, vera lirica, alfine, dell'affetto superiore ed intenso trasformato ed idealizzato nel fantasma. Sono tutti e tre per la Roncioni, e scritti, come il Chiarini ha dimostrato, parmi, sicuramente, i primi due nel marzo o nell'aprile del '99 quando i Francesi occuparono la prima volta Firenze, il terzo nella Liguria, lo stess'anno, probabilmente d'autunno. Sono i tre momenti dell'amore: l'ammirazione, il tremore, il dolore. Ma chi gli aveva dopo il Petrarca cantati mai cosķ? E chi all'estasi e al gemito del Petrarca aveva mai saputo mescolare quel profumo e quel fremito di ionia primavera? chi nella toscana eleganza della forma petrarchesca aveva mai saputo condurre la puritą della linea attica e la mollezza della voluta corintia con tanto pacata sveltezza?


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Conversazioni critiche
di Giosuč Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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