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      E da vero nei canti popolari delle isole ionie
     
      spirat adhuc amorVivuntque commissi calores
      Aeoliae fidibus puellae.
     
      Eccone alcuni:
     
      Amore, perché mi svegliasti, ché dolce i' dormivo?
      E mi mettesti pensieri ch'i' non nutrivo?
     
      Questo non è affanno ch'i' ho nel cuore.
      Ma è amor vero che mangia le viscere mie.
     
      Come i fiori del mandorlo biancheggia il tuo viso:
      Chi ti vede vien meno e languisce dinanzi a te.
     
      Ahi come lo soffersi io tanto? Quando ti veggo, tremo,
      Le mani e i pie' e la parola che parlo.
     
      Come tremolano le stelle del cielo infin ch'aggiorni,
      Trema e a me il cuor mio finché ti rincontri.
     
      Di contro a me venisti e sedesti, come sole, come luna;
      E succiasti il sangue mio come l'arida spugna.
     
      Di contro, di fronte a me siede la mia desiderata;
      E freddo freddo sudore corre dal corpo mio.
     
      Quand'odo 'l tuo nome, non so perché,
      Palpitano le viscere mie, il mio corpo vien meno115.
     
      Non cito per isfoggio d'erudizione, ma per trasfondere, potendo, nei lettori la persuasione mia, che gli elementi e le forze della rinnovazione fatta dal Foscolo nella lirica italiana provengono in gran parte dal sangue e dal sentimento greco.
      Difficile, dopo cotesta ode, far meglio in quel genere. E nei sonetti a Zacinto e alla sera è raggiunta la suprema perfezione nella corrispondenza del motivo al metro e alla forma. Meglio smettere, cosí pare l'intendesse il Foscolo, forse anche ammonito dalla inferiorità del sonetto finale, Pur tu copia versavi alma di canto. Né piú fece sonetti, salvo uno che tentò non felicemente pe 'l ritratto dipintogli dal Fabre nel 1813 e che non pubblicò egli.


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Conversazioni critiche
di Giosuè Carducci
Sommaruga Roma
1884 pagine 237

   





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