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      Del resto tutta una letteratura, come fu quella del nuovo dramma tra noi, sarebbe ridicolo farla discendere da un frammento di ventiquattro versi, che è quanto ci resta di Sòsiteo, e per di piú ignoti ai primi che scrissero favole pastorali. Ma tant'è: i nostri vecchi avevan bisogno degli alberi genealogici anche per la poesia, e pur troppo, nota argutamente questa volta un grave erudito,(4) ce n'è che somigliano agli alberi di certe famiglie per linea retta da Priamo re di Troia e da Giuba re di Numidia.
      Alle origini greche del pagano Cinquecento il Seicento devoto sostituí il popolo ebreo e la bibbia. Cosí mons. Huet, il dottissimo vescovo autore della origine dei romanzi [1670] per introduzione alla Zaide di mad. La Fayette, trovò il primo esempio di pastorale nella cantica detta di Salomone. Certo che in quella lirica popolare d'amori e nozze c'è del colorito bucolico e del movimento drammatico; e vi si posson riconoscere Salomone pastore, Sunamitide pastorella, un coro di verginelle, e altro. Ciò piacque molto in quel secolo a letterati e poeti latini della compagnia di Gesú: e un p. Paolo Serlogo, ravvisando nella Cantica ogni parte di vera favola pastorale, la volle spartita in cinque atti; ma con erudizione piú rara il p. Andrea Pinto Ramirez la espose in scenica rappresentazione, se non che egli stimò averla a scompartire in soli tre atti.(5) Il primo traduttore italiano della Cantica (1686), laico, Loreto Mattei, immaginò distribuirla in otto ecloghe, con intitolazioni quasi romantiche, Il deserto, La campagna, La notte, Il banchetto, Il giardino, Il trionfo della beltà, Il paradiso dell'amore divino.


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Su l'Aminta di Torquato Tasso
Saggi tre
di Giosuè Carducci
Sansoni Firenze
1896 pagine 129

   





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