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      E in questa larghezza nella piccolezza è il gran valore di Teocrito, che fu certamente nell'età alessandrina il maggiore se non l'unico poeta; e disegnava dal vero, superiore al reale soltanto quando la visione passando per il filtro della concezione poetica prendeva l'impronta dell'arte. Ma non pare esatto ciò che fu ultimamente supposto, che il dialogo sia piú frequente nell'ecloga posteriore che nel primitivo idillio. Il dialogo fu sempre la forma prediletta, perché naturale e necessaria, della poesia bucolica. Dei ventisette idillii di Teocrito i veramente bucolici sono undici; dei quali, nove a dialogo e due monologhi rappresentativi. Oltre il dialogo propriamente detto prevale nell'idillio bucolico di Teocrito il canto amebeo e l'intercalare: ultimo testimonio questo d'un qualche attacco alla poesia popolare, se non di provenienza diretta: indizio quello d'una tendenza primordiale al dramma. Tendenza, perché in fondo la sostanza è racconto: racconto, non del fatto eroico, sebbene qualche volta del mitico sí, ma specialmente dell'amore o d'altra minor passione o tenue avvenimento. Né, oltre il racconto, manca all'idillio un certo fondamento epico: Dafni, il primo pastore, il figlio di Hermes e della ninfa ignota, è per questa poesia ciò che per l'epos propriamente detto l'eroe: di piú epica è la verseggiatura, l'esametro. Sicché l'idillio bucolico viene ad essere un genere misto tra drammatico ed epico: se non che il movimento e fervore del canto nella passione lo fa anche lirico.


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Su l'Aminta di Torquato Tasso
Saggi tre
di Giosuè Carducci
Sansoni Firenze
1896 pagine 129

   





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