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      Ma perché? Per due ragioni, imagino io: una sociale e una letteraria. Non ne potevano piś di quei baroni e cavalieri, epici quanto volete nelle canzoni di gesta e nei romanzi, ma rozzi e brutali nella vita; di quei frati e monaci, santi quanto volete nelle auree leggende, ma abbuiatori e accidiosi e un cotal po' ancor puzzolenti; di quei cittadini, valenti e magnanimi nelle croniche, ma di picciol animo in fatti e ringhiosi e ignoranti; e si rifugiavano nella libertą fraternitą egualitą dell'Arcadia. Nell'arte della poesia sentivano mancarsi qualche cosa, la forma drammatica; e disdegnando cercarla nelle laudi e ne' misteri né osando ciņ che il Mussato, crederono trovarne un'apparenza nei dialoghi dell'ecloga.
      Quanto invalesse tuttora nell'arte anche pastorale del Trecento l'allegoria, lo mostra Giov. Boccaccio nell'Ameto. Composto del 1342, quando il ventottenne amante di Fiammetta dalle voluttą di Napoli si fu restituito alle bellezze di Firenze, l'Ameto vorrebbe essere in principio un'opera uscita tutta classica dai recenti studi latini. Giocondo rivelatore di forme e apritore di nuove fonti alla poesia, messer Giovanni dą qui il primo esempio del romanzo pastorale misto di prosa e di versi; e nei versi deduce primo l'antica ecloga dall'esametro latino a mormorare scorrevole pe' freschi e molli canali della terzina; e in questi versi la puritą del Trecento e la peregrinitą classica si assorellano ingenuamente tanto che no 'l potranno sentir mai né capire i giudicanti stranieri e tali altri nati e cresciuti a essere tuttavia stranieri.


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Su l'Aminta di Torquato Tasso
Saggi tre
di Giosuč Carducci
Sansoni Firenze
1896 pagine 129

   





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