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      I diletti di Venere non lasciaL'uom che schiva l'amor, ma coglie e gusta
      Le dolcezze d'amor senza l'amaro.
      ...... Allor vedrassi amanteTirsi mai piú, ch'Amor nel regno suo
      Non avrà piú né pianti né sospiri.
      A bastanza ho già pianto e sospirato:
      Faccia altri or la sua parte.
     
      E con ciò resta esclusa affatto la romantica supposizione che il Tasso ritraesse Leonora in Silvia e sé in Aminta e che la pastorale sia l'espressione piú intera e fedele dell'amore rispettoso e timido del poeta per la principessa d'Este.(98)
     
      IV
     
      L'Aminta fu rappresentato piú volte nel decorso del secolo decimosesto: dopo la prima di Belvedere, certamente a Pesaro nel febbraio nel 1574, presente il Tasso, ch'era stato invitato dalla sua parzialissima Lucrezia principessa estense, moglie da tre anni al principe ereditario d'Urbino, Francesco Maria della Rovere, già stato compagno ne' giovanili studi al poeta. La recita fu fatta il giovedí primo di quaresima, da giovani d'Urbino: e ne abbiamo il ragguaglio, che ben può scusare un feuilleton di Gautier e di Janin, in una lettera (ultimo di febbraio 1574) del nobile pesarese Virginio Almerici:
     
      È stata tenuta per una delle vaghe composizioni che siano fin ora uscite in scena di tal genere, perché ci erano bellissimi e piacevolissimi concetti, e l'azione, ancora che semplice, è molto piacevole ed affettuosa. È ben vero che per la verità non è stata in alcune parti e principali cosí ben rappresentata come meritava, massime negli effetti, dai quali nasceva il principale diletto: pure da quelli che n'hanno gusto è stata giudicata per cosa rara.


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Su l'Aminta di Torquato Tasso
Saggi tre
di Giosuè Carducci
Sansoni Firenze
1896 pagine 129

   





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