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      Questo mi mostra che mai disperareNon si dee l'uom de la bontŕ divina.
      Veggo Vďaste, i' gli vo' gir incontra.
     
      VIASTE, MONTANO
     
      Via.
      Io son stato, Montan, per non venireA ritrovarti, ancora che mia madre,
      A la qual porto quella riverenzaChe dee figliuolo buon portare a madre,
      Detto me l'abbia; perché io mi ho pensatoChe tu di quel mi vogli favellare
      Di cui pur dianzi ragionato mi hai.
      S'č cosí come credo io che sia,
      Ti prego e ti riprego che non vogliNoiarmi piú, perché ciň non č altro
      Che piú infiammarmi e raddoppiar la dogliaEt animarmi pur contra Filisio.
     
      Mon.
      Vďaste, io voglio che tu sappi ch'ioHo tanto a core ogni tuo bene e tanto
      Ti amo, che piú non amo i figli propri;
      Perň tu creder dęi che non dirottiSe non quel che ti sia d'util, d'onore:
      Cosí mi custodisca la mia greggiaPane dio de' pastori e le mie biade
      Da' mostri de la terra mi difendaCerere dia; et a te ponga in core
      E questa e quei di dar sí attentamenteOrecchio a le parole mie, che quindi
      Ti venga quella contentezza ch'ioBramo maggior. Via. Son le parole buone.
      Ma non so se saran sí buoni i fatti.
     
      Mon.
      Saranno anche migliori. I' tengo certoChe, s'alcun ti volesse dar per moglie
      Giovane che figliuola si trovasseDe la sorella di tua madre, mai
      Tu non consentiresti a cosa tale.
      Via.
      Tolga via Dio, che tal pensier mi venga!
      Io mi starei piú tosto, e dico il vero,
      Di non aver mai moglie: perché questaMi parerebbe una sceleratezza
      Che dovesse far me gire e la greggiaIn ultima ruina. Mon. E cosí a punto
      Saría, Vďaste. Saperai adunqueCh'Irinda, de la quale ardi e sfavilli,


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Su l'Aminta di Torquato Tasso
Saggi tre
di Giosuč Carducci
Sansoni Firenze
1896 pagine 129

   





Vďaste Montan Filisio Dio Vďaste Irinda