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      Ecco la breve giaculatoria ch'ei fece a Dio nel suo pensiero. Io so, o Dio, che non posso andarmi a battere che in disgrazia vostra, poiché vado ad espormi alla prossima occasione di divenir omicida; abbiate dunque misericordia dell'anima mia, facendo ch'io non rimanga ucciso; poiché, se perissi sul fatto, conosco che non mi è neppure lecito di pregarvi ora di esentarmi dalle pene eterne dell'inferno. Concedetemi, o Dio, il tempo e la forza di pentirmi di quel peccato che per superbia vado adesso spontaneamente a commettere.
      Anche questa preghiera è assurda e contraddicente; prima, perché è cosa ridicola che un uomo preghi il sovrano dei sovrani di una grazia nel tempo medesimo che sa esser a lui nota l'intenzione che ha di offenderlo; poi, perch'egli non ha bisogno di domandar perdono di un delitto ch'è padrone di non commettere; onde ne segue che commettendolo divien doppiamente reo, se temerario aspira a quel perdono. Ciò non ostante, la religione del veneziano mi sembra meno irragionevole di quella dell'altro.
      Nel giorno seguente si presentò al convento un gesuita; egli si nominò confessore di Monsignor Czartoryski vescovo di Posnania, e domandò di abboccarsi con lui da solo a solo. Fatto dar luogo agli astanti, gli disse che veniva a nome di Monsignore per assolverlo dalle censure ecclesiastiche, nelle quali era incorso avendo fatto duello. Il veneziano il ringraziò, e gli disse che non si credea scomunicato, poiché sapea di non aver fatto duello. Qui vi fu una non breve seria contestazione tra lui e 'l gesuita sulla questione, se avesse fatto duello o no, la quale non si sarebbe facilmente terminata, se il gesuita non avesse escogitato un mezzo termine, che non dispiacque al preteso scomunicato.


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Il duello
di Giacomo Casanova
pagine 65

   





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