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      In oltre metto in considerazione un'altra grandissima differenza tra la luce, ed il calore, la quale è che la velocità della luce è d'infinito intervallo superiore alla velocità del fuoco, come che quella arriva al sommo grado di velocità, e forse si fà in instanti, e questa si fà in tempo; quella risiede nell'ultima divisione, e partizione, e questa risiede assolutamente ne' corpi di quantità ancora divisibili in minor mole. La luce, se ci ridurremo a contemplare la sua finezza, ritroveremo, che non è possibile, che possa mai con un suo minimo urtare in corpi, ne in particelle corporee, che sieno minori di lei; ma bene il calore del fuoco può incontrare minuzie di corpi molto minori delle parti, che fanno il calore del fuoco. E per tanto da queste, e da altre condizioni, che si osserveranno in queste cose, inclino grandemente a pensare, che la luce sottilissima, velocissima, e penetrantissima operi, si sparga, e si diffonda per ispazi, e tratti immensi con esquisitissimi modi; e di piu direi, che non possa mai intravvenire, che una delle minuzie della luce urti in due, tre, o piu degli altri corpuscoli, ancorche minutissimi della natura; e parimente penso, che non sarà mai possibile ritrovare intervalli, per minimi che sieno, per i quali non entri la luce, come quella che è assai piu minuta di essi. Ora se noi supporremo per vere tutte queste cose (intorno alle quali veramente non nego, che siano grandissime, e forse inesplicabili difficoltà) mi pare che segua; Che data una di queste nostre superficie sensibili di questi nostri corpi sensibili, la quale fusse un aggregato, e composto di molte minutissime superficiette, e filamenti eretti per gran parte di loro alla volta della luce, sarebbe necessario prima, che la luce entrasse per quelli spazi, ancorche angustissimi, e ferendo ne' piani, e bande di quelle superficiette, e filamenti eretti, e dovendo reflettere con le regole inviolabili della reflessione, cioe ad angoli eguali a quelli dell'incidenza, ne seguirebbe, che pochissimi, e forse nessuno potrebbe ritornare indietro verso quelle parti, dalle quali viene quella luce, & in tal modo la luce verrebbe a rimanere come sepolta, per cosi dire, in quella superficie sensibile, la quale poi ci si rappresenterebbe agli occhi nostri con pochissimo lume, e cosi verrebbe a renderci quell'apparenza, che noi chiamiamo negrezza.


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Alcuni opuscoli filosofici del padre abbate D. Benedetto Castelli da Brescia
di Benedetto Castelli
1669 pagine 60