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      È questa la cronologia di cinque giorni e la geografia di cento miglia di paese. Eppure, anche in sì piccola proporzione, appare savio il detto di chi chiamò geografia e cronologia le due faci d'ogni istoria. E le fatiche nostre sono preparazione all'istoria.
      Il ravvicinamento delle date viene inoltre a dimostrare che mentre ardeva già la guerra a Milano, a Venezia, a Parma, a Modena, e correvano alle armi Toscana e Roma, gli esuli più illustri in Parigi, o appena ne avevano sentore, o mandavano ai popoli consiglio d'indugi e di pace. Onde si prova erronea l'opinione dei governanti, i quali allora, non meno che adesso, o sognavano o mentivano che il moto naturale delle moltitudini provenisse da secreto cenno di pochi e lontani: o ignari o avversi.
      E la data certa aggiunge significato anche a certe menzogne, diffuse allora da fogli formalmente stipendiati in Firenze, in Parigi e altrove, in cui si attribuì risolutamente la vittoria d'un popolo a chi stava inoperoso e torpido a contemplarla da lontano e non senza farvi ogni possibile impedimento. Cominciavano allora a frodarci la gloria quelle mani stesse che poi ci contaminarono l'onore.
      E qui non si chiude solo la materia d'una istoria, ma quasi un vasto poema. Prove insigni di valore e pietà: prove nefande d'immanità e perfidia: da un lato, l'urlo dell'allarme e l'evviva della vittoria; dall'altro il gemito della prigionia e della disperazione; gli uni, coll'armi in mano, pietosi al nemico ferito; gli altri, fuggitivi dalla pugna, vaganti a trucidare fra orti solitari le donne derelitte, o a trarle piangenti e sanguinanti allo scellerato Castello: al Castello, antro di Polifemo, ove la vendetta siede a codardo giudicio, e insulta ai cadaveri mutilati; ove una stolida dissimulazione accumula un immenso rogo per distruggervi le vestigia della sconfitta e delia crudeltà; il battere di duecento campane, che risponde al fragore di sessanta cannoni; la pioggia dirotta che spegne sulle piazze i fochi notturni del soldato; la luna che spunta tra le nubi conturbando con tetra eclisse le barbare fantasie; il terrore del veleno che rattiene i famelici croati col pane in pugno; lunghe file di case incendiate, fra cui densi battaglioni s'aprono furtivo scampo; il sole che sui candidi pinnacoli del Duomo saluta il vittorioso tricolore; i palloni volanti che spargono alle turbe campestri la parola dei combattenti.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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