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      D'altronde non tutte codeste aggregazioni avevano un medesimo intento d'indipendenza e di guerra. I muratori, fratellanza universale e umanitaria, appunto perciò temperavano più che non infiammassero l'odio agli stranieri. I carbonari operavano taciturni di città in città, piuttosto correttori della domestica tirannide, che incitatori a lontana guerra. La Giovine Italia, fratellanza non muta, anzi eloquente, ornata di dottrine filosofiche e di bello stile attinto al fonte biblico e agli esemplari di Giangiacomo e di Ugo Foscolo, aspirava bensì a richiamar la religione dal satellizio degli oppressori, e rifarla confortatrice evangelica degli oppressi: ciò che significava col motto, Dio e Popolo. Ma parlava una lingua ardua alle plebi, e a molti eziandìo che non si stimano plebe. No, non era popolare; non penetrava addentro nella carne del popolo, come la coscrizione, e il bastone tedesco, e la legge del bollo, e l'esattore, e il circondario confinante, e le sciabole di settembre e di gennaio. L'eco della Giovine Italia era nella generosa e poetica gioventù delle università, delle academie e delle aule teologiche. Essa, cogli occhi confitti nell'esercito straniero, pareva riservare ad altra generazione le dispute tribunizie e l'emancipazione del popolo, per accingersi anzi tutto alla pugna. La sua fede era dittatoria, cesarea, napoleonica. Anelava alla forza militare e all'unità.
      Nel 1831 Giuseppe Mazzini non rivolse le prime sue parole al popolo, ma sì ad un giovine congiurato divenuto re.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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