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      E così appare ognora più manifesto, che quel moto sgorgò spontaneo qua e là dalle viscere della nazione; e che come il mal governo di Metternich lo aveva preparato, così la sua caduta gli diede l'ultimo impulso. No, nessun popolo si mostrò più noncurante dell'oro e più prodigo del sangue. E ci fa quasi schifo leggere come le ricche dame di Milano elemosinassero per vicoli e botteghe, a far carità coi denari della plebe; e come i giovani più operosi a promovere la rivoluzione, dopo aver fatto il novero degli amici epuloni, fino a compiere cento milioni di patrimonio, appena ne spremessero settemila franchi. Vergogna pur troppo anche questa della patria, ma che pure torna d'altra parte a sua gloria tanto maggiore. E così rispondiamo al general Willisen, il quale intraprese a spiegare alla Germania la nostra rivoluzione, intendendola così poco e così male, che la giudicò un capriccio improviso, mosso dall'oro degli ottimati.
      La propaganda albertina coltivata ancora più durante la guerra, lasciò due mali. L'uno ed il peggiore si fu, di segregare nuovamente dalla nazione gli ordini più cospicui, che sotto il livello straniero parevano essersi rifatti popolo; e perciò erano dal popolo con devota gratitudine ammirati e seguiti. E per l'ambizione d'allargarsi in tutta l'Italia, Carlo Alberto diede ai maggiorenti per tal modo ordinati, un animo per molti aspetti simile a quello degli antichi ghibellini; i quali nascevano e morivano nella perenne aspettazione d'un esercito che scendesse a render loro sugli eguali un predominio che di per sè non valevano a conservare.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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