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      Per troppo ardore d'avventarsi contro i nemici stranieri, i quali potevano fare ben breve ostacolo a una gran nazione, l'Italia non si profittò dell'impotenza nella quale essi erano già caduti, onde estirpare frattanto i loro intestini fautori, e assicurarsi pel dì della battaglia il tergo dalle insidie. Essa dimenticò che l'arte della libertà è l'arte della diffidenza; che libertà è padronanza; e padronanza non vuol padrone. Diede le redini a chi non voleva che il carro andasse. Rinunciò ai principi l'iniziativa, appunto quando, dopo tant'anni, stava per metter le mani sulla vittoria.
      Le fratellanze di Romagna e le amicizie di Milano posero i più gelosi secreti e la vita stessa dei fratelli a discrezione d'un disertore; a discrezione d'un re ch'era stato per diciott'anni di regno l'ostinato e sanguinario loro nemico; e che poteva ogni mattino tradirle, non foss'altro, al gesuita il quale lo assolveva del sangue versato. E fu parimenti consiglio fallace quello di sospingere i pontefici e i re cogli applausi; poichè, conosciuta la loro natura che cede solo al timore, chi potè farli camminare di quel modo impunemente, avrebbe potuto farli camminare anche d'altro modo. Ma l'Europa non potè imaginarsi che tutto un popolo avesse così unanimemente e lungamente affettato una gratitudine e un'ammirazione che non doveva sentire. Credette adunque che Pio IX fosse un uomo inviato da Dio, e non un segnacolo artificiale, che non aveva senso se non da un accordo di congiurati. Laonde quando il tempo fu consumato, e i teatrali applausi dovettero aver fine, parve al mondo che l'Italia fosse ingrata!


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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