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      I condottieri delle due strade ferrate, sprezzando la nuova minaccia di morte, condussero notte e giorno convogli d'armati. Il passo del Lambro a Marignano venne chiuso. Il nemico non ebbe più corrieri. "Non fu possibile spedire il mio dispaccio (del 19)", scriveva Radetzky, "perchè ogni communicazione al di fuori è talmente interrotta, che solo con grosse scorte può giungere a me o partire alcuna notizia". Non era dunque reciso il nervo capitale della rivolta, com'egli aveva sognato; ma bensì, essendo recisi i nervi che ponevano in moto le inanimi membra dell'esercito, i corpi isolati ricadevano nella dubiezza e nell'inerzia. A un esercito di servi manca, col bastone del comando, la volontà e la vita.
      Como sorprese in quella matina la polveriera di Geno, armò i cittadini, spiegò la bandiera tricolore; ebbe soccorso di quattrocento uomini, approdati colle vaporiere del lago. Ma dalla Svizzera non le giunse in quel giorno più che uno stuolo di 14 esuli; mentre il presidio nemico s'ingrossò di 800 soldati del Prohaska che stanziavano in Mariano e Cantù. - Bergamo, che dal suo colle poteva contare ogni colpo che straziava Milano, si armò; e quando, a notte tarda, corse voce che contro la parola data dall'arciduca Sigismondo partiva un battaglione chiamato da Radetzky a Milano, il popolo di Borgo Palazzo gli precluse intrepidamente la via; gli uccise il comandante. - A Brescia, presidiata in gran parte d'italiani, i maggiorenti, indettati da Torino, e resi imbecilli da quella speranza, raffrenarono l'impeto del popolo; lo persuasero (cosa quasi incredibile) ad aspettare rassegnato le sue sorti da quelle della combattente Milano; appellarono "colpa e danno crudele e irreparabile" ogni atto ostile; patteggiarono il privilegio delle armi a 200 agiati cittadini.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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