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      Vi s'ascrissero un Gioia, un Maestri e altri, che si chiarirono poi clienti di Carlo Alberto; e attesero tosto a sventare ogni impeto di popolo. - A Modena, i dragoni ducali ferirono qualche cittadino; ma il duca, che pochi mesi prima aveva detto al popolo, "ho trecentomila uomini, non ho paura", spaventato, piangente, dichiarò "che si occuperebbe subito delle risoluzioni più confacenti al benessere delli amatissimi sudditi". Ma invero la maggior sua sollecitudine fu di aprirsi un varco alla fuga. E non era agevole, poichè in tutte le città circostanti, a destra, a sinistra, a fronte, alle spalle, ruggiva il terremoto popolare. - Il popolo di Bologna, a dispetto dei maggiorenti già secretamente accaparrati da Azeglio, mise in armi quella sera 500 tra popolani, studenti e finanzieri, che al chiaror delle faci fra gli applausi partirono, guidati dai republicani Livio Zambeccari e Angelo Masina, avendo "proclami già stampati, coll'intenzione di proclamar Pio IX a Modena e a Parma". Poco stante li seguì un battaglione di guardie civiche; ma inviluppato da superstizioni di giobertiana opportunità, non osò poi varcare il confine. Quando si pensa ai battaglioni bene armati di Parma, Modena e Bologna, ch'erano quella notte a poche miglia da Mantova, presidiata da tremila baionette tutte italiane, è forza confessare che se l'Italia non fu libera, egli è che ancora nol volle.
      Mantova, infatti, oltre all'aver avuto dal vicerè licenza d'armare 300 cittadini, animata dalle novelle di Milano, di Parma, di Modena, li aveva posti quella notte a guardia delle porte con autorità "d'arrestare i corrieri e aprire i dispacci". Ma in contradizione a ciò, il municipio vietò per editto "di munirsi d'armi a chiunque non fosse abilitato dal commune". E per disviare il popolo, raccolse denaro da gettargli sotto pretesto di lavoro, affinchè serbasse "calma, tranquillità e obbedienza a chi lo dirigeva".


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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