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      Sa ella
      , diceva a Cattaneo, "che non accade ogni giorno di prestar servigi di questa fatta a un re?" L'altro gli rispondeva e a voce e in iscritto, che l'amore dell'indipendenza avrebbe fatto dimenticare la libertà, che la parola gratitudine avrebbe fatto tacere la parola republica, ma che il re non poteva esigere anzi tempo il prezzo d'un servigio che non aveva reso. Doveva il Martini recar in Piemonte la risposta dei municipali quella medesima notte; fu fatto condurre due volte al bastione di Porta Tosa ov'erano appoggiate le scale; ma non volle uscire. Intanto verso l'alba del 22, il municipio deliberò finalmente di dichiararsi, non sappiamo per mandato di chi, governo provisorio. E nella successiva sera scrisse al ministro Pareto accreditando presso di lui il conte Martini. Era strano quell'accreditarlo presso coloro che lo avevano inviato. S'era inviato del re, doveva riportargli in tal sua qualità la risposta dei municipali: non poteva svestire la sublime livrea di suo messaggiere per ricomparirgli inanzi incaricato dei municipali e "d'alcuni abitanti notabili", che invocavano l'aiuto delle armi della sacra sua maestà.
     
      Al mattino del quinto giorno, in un avviso dei municipali si lesse: "L'armistizio offerto dal nemico fu da noi rifiutato, ad istanza del popolo, che vuol combattere". E più inanzi: "Questo annuncio vi vien fatto dai sottoscritti, costituiti in governo provisorio, che reso necessario da circostanze imperiose e dal voto dei combattenti, vien così proclamato". Il voto dei combattenti era una millanteria; i combattenti non avevano votato.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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