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      E pochi momenti dopo, in altro avviso, si aggiungeva una perfidia: "I buoni cittadini di null'altro debbono adesso occuparsi che di combattere. A causa vinta, i nostri destini verranno discussi e fissati dalla nazione".
      Il governo era un'assurda compagine di due elementi, l'uno giovanile e ideale, l'altro triviale e senile; il primo era in pugno al secretario Cesare Correnti, il secondo al conte Giuseppe Durini. La mutua loro ripugnanza venne espressa nel così detto Libro del Re, ove un capitolo, scortesemente intitolato Umori del governo provvisorio, deplora che, togliendo pochi, "i restanti membri del governo appartenessero alla fazione republicana". E venne espressa dal Correnti medesimo con quelle veementi parole: "Orribile supplicio è il mio, che dalla sfera del divino ideale sono trascinato nella realtà dura e spesso schifosa". Così è; devoto a domestiche aspettazioni, il governo, ove si eccettui il conte Borromeo, non aveva nemmeno in sè l'elemento dell'opulenza; e quindi rappresentava gli interessi piuttosto come servo, che come padrone. Ma esso era una necessità; dacchè il patto che gli soggiogava l'incauta gioventù, e ch'era parte d'altra più vasta transazione la quale involgeva gli esuli e l'Italia, non si poteva in quei fatali istanti infrangere, senza porre a repentaglio la commune salvezza. Era forza mietere ciò che si era seminato.
      Attratti dall'autorità del nome municipale, altri cittadini gli si erano ordinati intorno, il terzo, e il quarto dì, in vari comitati per provvedere ai feriti, ai poveri, ai prigionieri e ad ogni altro presente bisogno.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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