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      Fu quella una vera battaglia, sostenuta dall'alba a sera con indefesso ardore. E non era posizione propizia ai cittadini, perchè, quartiere poco abitato e senza esterno sobborgo, non porgeva ai combattenti colà venuti aumento di forze. Era anzi opportuna alle truppe; le quali avevano inanzi alle bocche dei cannoni una strada rettilinea, lunga mille passi e larga forse cinquanta; e potevano attelarsi in doppia fronte sul bastione e sulla circonvallazione, sulla via ferrata e sulla via di Crema, riparandosi nella porta stessa, e in alcuni edifici dentro e fuori la città. Dicevano gli avvisi: "Ore dodici: a Porta Tosa, fuori, molti de' nostri battono fortemente, e i militari fugono precipitosi; aiutate i nostri e vinceremo. - Ore dodici e un quarto: il nemico riparato nel Dazio e nelle case a mezzodì del corso; due cannoni arrivati in sussidio al nemico obbligheranno i nostri a ritirarsi dalla posizione vantaggiosa che occupavano. - Ore dodici e mezzo: molta truppa e sei pezzi di cannone sono arrivati da Porta Orientale a Porta Tosa; abbisogna su quel punto molto rinforzo". Verso mezzogiorno "le barricate mobili eransi avanzate a tale che dall'ultima finestra delli edifici dell'ala sinistra sventolava la bandiera tricolore; la cavalleria e la fanteria cominciavano a ritirarsi, quando una batteria appuntossi verso l'orfanotrofio e il Corso, vomitando incessantemente mitraglia e granate, che appiccarono il foco; i nostri per un istante parvero cedere, già ardeva la prima barricata; due morti, e quindici più o meno gravemente feriti". Luciano Manara scriveva al comitato: "Siamo all'ultima casa, la nostra bandiera vi sta già sventolata.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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