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      Il Piemonte avrebbe avuto a men doloroso prezzo tutto ciò che adesso ha: più la vittoria: più la fama militare: più l'intimo e libero commercio con tutta Italia e la compagnia di tutti i popoli italiani a svolgere nella vasta patria gli assopiti elementi d'ogni forza e d'ogni prosperità. Il Piemonte non avrebbe avuto sempre vigile e torva al ponte del Ticino la faccia d'un nemico che vede con dolore ogni suo bene e, con tripudio ogni sua sventura.
      Quando tutti gli Stati d'Italia dovevano essere governati da adunanze elettive (e quante più erano, tanto meglio per la satisfazione dei popoli e la concordia universale), poco importava che in Parma si deliberasse a nome d'un duca, e a Roma a nome d'un pontefice sotto l'altiera presidenza d'un Rossi; e a Venezia, come in Francoforte e in Amburgo, sotto quella d'altro semplice cittadino. Nulla avrebbe levato alla prosperità dei piemontesi e dei genovesi, se a Milano i facendieri avessero data la vacua corona al duca di Genova, come era ben facile; o se per offendere meno le assurde osservanze della diplomazia, le quali trattano ogni stato come un patrimonio, si fosse raccolto nel solo nome del granduca di Toscana tutto ciò che dai trattati erasi qua e là assegnato al suo parentado in Italia; o se si fosse voluto avere un regno con due teste, potevano pur congiungere sotto Carlo Alberto Torino e Milano; ma così come la Svezia e la Norvegia; così come Berna e Zurigo; non già come il Belgio e l'Olanda, per darsi mutuo impaccio, e concepirsi odio, e in breve ripudiarsi per sempre.


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Considerazioni sul 1848
di Carlo Cattaneo
pagine 217

   





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